Introduzione. Nel tardo pomeriggio di Natale del 1991, milioni di cittadini sovietici assistettero attoniti a un annuncio storico: Michail Gorbaciov, in diretta televisiva, dichiarava conclusa la sua attività come presidente dell’URSS e di fatto sanciva la fine di quella superpotenza nata nel 1922. Questo evento segnò il termine di un processo di dissoluzione iniziato almeno due anni prima, uno spartiacque epocale che trasformò radicalmente gli equilibri geopolitici mondiali. Dall’immenso impero sovietico nacquero 15 Stati indipendenti; anche settori specifici come l’industria orologiera sovietica subirono uno shock improvviso: le grandi fabbriche di orologi (Poljot, Raketa, Vostok, etc.), abituate alla pianificazione centrale, si ritrovarono all’improvviso senza il sostegno statale, costrette a navigare da sole nell’economia di mercato. [it.wikipedia.org]
🚀 L’ultimo cittadino sovietico
Nel dicembre 1991 il cosmonauta Sergei Krikalev si trovava sulla stazione spaziale Mir. Partito nello spazio come cittadino dell’URSS, tornò sulla Terra nel marzo 1992 da cittadino russo: durante la sua missione l’Unione Sovietica era scomparsa. Questo aneddoto illustra plasticamente la portata epocale di quel cambiamento storico.
In questo articolo percorriamo, senza giudizi politici, gli eventi chiave dal 1989 al 1991 che portarono al collasso dell’URSS, per poi esaminare la nascita della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) e il suo successivo fallimento. Verranno utilizzate fonti storiche autorevoli e documenti ufficiali (incluso il testo integrale del famoso discorso di Gorbaciov in originale russo e traduzione italiana).
Le premesse (1989–1990): dall’Europa dell’Est alle spinte secessioniste interne
La “fine” dell’Unione Sovietica non avvenne all’improvviso, ma fu il culmine di riforme e tensioni accumulate in precedenza. Nel 1985 Gorbaciov aveva avviato la perestrojka (ristrutturazione economica) e la glasnost (trasparenza politica) nel tentativo di rinnovare il sistema sovietico. Queste riforme, pur allentando la repressione e ponendo fine alla Guerra Fredda, fecero emergere i gravi problemi economici e le tensioni nazionali a lungo sopiti. [it.wikipedia.org]
- 1989: l’anno delle rivoluzioni in Europa Orientale. Gli alleati dell’URSS nell’Est Europa abbandonarono i regimi comunisti uno dopo l’altro. L’evento simbolo fu la caduta del Muro di Berlino (9 novembre 1989), che segnò l’inizio del crollo del blocco sovietico in Europa. Gorbaciov scelse di non intervenire militarmente nei Paesi del Patto di Varsavia in rivolta, rompendo con la brutale dottrina dell’intervento del passato. Questa decisione guadagnò rispetto internazionale all’URSS, ma incoraggiò anche le aspirazioni indipendentiste interne. Entro fine ’89, il clima in URSS era mutato: da un lato riformatori che chiedevano più cambiamento, dall’altro conservatori allarmati per la disgregazione del sistema. [liberoquotidiano.it]
- 1990: le repubbliche sovietiche verso l’autonomia. All’interno dell’URSS, le repubbliche iniziarono a proclamare la propria sovranità. Già dall’11 marzo 1990 la Lituania dichiarò unilateralmente l’indipendenza – prima tra le repubbliche sovietiche (seguita nei mesi successivi da Estonia e Lettonia). Mosca inizialmente considerò queste dichiarazioni illegali, ma il segnale era chiaro. Nei mesi seguenti, anche repubbliche non baltiche rivendicarono maggiore autonomia: ad esempio, il 12 giugno 1990 la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa (la Russia) adottò una Dichiarazione di Sovranità statale, affermando la supremazia delle proprie leggi su quelle dell’Unione; poche settimane dopo fece lo stesso l’Ucraina. In pratica, mentre Gorbaciov tentava di negoziare un nuovo patto federativo per tenere insieme l’URSS, molte componenti della federazione preparavano già la strada per l’indipendenza. [it.wikipedia.org]
Queste spinte centrifughe furono accompagnate dal tramonto dell’ordine imperiale sovietico anche sul piano internazionale. Nel 1990 l’URSS acconsentì alla riunificazione della Germania e sciolse i residui legami del vecchio blocco: nel 1991 furono formalmente dissolti sia il Comecon (organizzazione economica comunista) sia il Patto di Varsavia. Intanto, all’interno, venivano introdotti elementi di democrazia: in marzo 1990 si tennero elezioni relativamente libere nelle repubbliche, e il Partito Comunista perse il monopolio in diversi territori. Gorbaciov stesso, nel marzo 1990, assunse un nuovo ruolo di Presidente dell’URSS (carica creata per lui) nel tentativo di dare allo Stato un assetto più presidenziale e meno partitico. Nonostante il prestigio internazionale guadagnato (Premio Nobel per la Pace 1990), Gorbaciov dovette affrontare crescenti difficoltà interne: la grave crisi economica, con penuria di beni di consumo e inflazione, minava la fiducia della popolazione, mentre le repubbliche spingevano per staccarsi e i falchi del partito lo accusavano di aver indebolito l’Unione. [it.wikipedia.org][it.wikipedia.org], [it.wikipedia.org][liberoquotidiano.it]
Il 1991: colpo di Stato e dissoluzione dell’Unione Sovietica
Il 1991 fu l’anno decisivo. Gli avvenimenti si susseguirono rapidamente, dal drammatico colpo di stato di agosto al definitivo collasso di dicembre. Vediamoli in ordine cronologico:
- Marzo 1991: referendum sull’Unione. Nel tentativo di trovare legittimazione per una “Unione Sovietica rinnovata”, Gorbaciov indisse un referendum nazionale il 17 marzo 1991. Ai cittadini fu chiesto se desideravano mantenere l’URSS sotto forma di una federazione di repubbliche sovrane. Nove repubbliche parteciparono (le sei più inclini alla secessione – le tre baltiche, Armenia, Georgia e Moldavia – boicottarono la consultazione). L’esito fu apparentemente favorevole all’unità: circa il 76% dei votanti si espresse a favore di una Unione Sovietica riformata. Questo dato mostrava che, nonostante tutto, gran parte della popolazione (specie in Russia, Bielorussia, Asia Centrale) temeva la disgregazione. Tuttavia, l’apparente sostegno popolare all’Unione non bastò a fermare il corso degli eventi. [it.wikipedia.org]
- Giugno 1991: El’cin presidente della Russia. Un ulteriore segnale di cambiamento giunse con le prime elezioni presidenziali popolari nella Repubblica russa. Il 12 giugno 1991, Boris El’cin – politico riformista e critico di Gorbaciov – fu eletto Presidente della RSFS Russa con il 57% dei voti, sconfiggendo il candidato sostenuto da Gorbaciov (Nikolaj Ryžkov). Per la prima volta, la Russia – repubblica chiave dell’URSS – aveva un presidente eletto dal popolo, distinto e rivale rispetto al presidente dell’Unione. El’cin si fece portavoce delle istanze di sovranità russa e di ulteriori riforme economiche in senso di mercato. La diarchia Gorbaciov-El’cin divenne sempre più tesa: Gorbaciov cercava di salvare l’Unione con un nuovo Trattato di Unione, previsto per agosto 1991, che avrebbe convertito l’URSS in una federazione più blanda; El’cin puntava a trasferire poteri da Mosca a ciascuna repubblica, difendendo gli interessi della neonata Russia indipendente. [it.wikipedia.org]
- Agosto 1991: il colpo di stato dei falchi (“Putsch” di agosto). Alla vigilia della firma del nuovo Trattato dell’Unione (fissata per il 20 agosto 1991), accadde l’imprevisto: il 19 agosto 1991 un gruppo di alti dirigenti sovietici conservatori tentò un colpo di Stato a Mosca per fermare la dissoluzione dell’URSS. Il vicepresidente Gennadij Janaev, il primo ministro Valentin Pavlov, il ministro della Difesa Dmitrij Jazov, il capo del KGB Vladimir Krjučkov ed altri formarono un Comitato di Stato d’Emergenza dichiarando che Gorbaciov (in vacanza in Crimea in quei giorni) era “impedito”. Carri armati furono dispiegati per le strade di Mosca e venne annunciato lo stato d’emergenza. I golpisti appartenevano all’ala dura del regime, timorosi che il nuovo trattato decentrasse troppo il potere e facesse implodere l’Unione. La reazione popolare e di El’cin però fece fallire il colpo: migliaia di cittadini scesero in piazza a Mosca, ergendo barricate a difesa della Casa Bianca (il parlamento russo) dove El’cin si asserragliò. In una celebre scena, lo stesso El’cin salì su un carro armato arringando la folla e denunciando il golpe come illegale. L’esercito esitò a reprimere i manifestanti; dopo tre giorni (21 agosto) il putsch collassò. I golpisti furono arrestati e Gorbaciov tornò al potere, ma era ormai gravemente delegittimato. Il fallito colpo di stato segnò infatti la fine politica del PCUS (Partito Comunista dell’Unione Sovietica): il partito fu sospeso e poi bandito in Russia, e l’autorità di Gorbaciov – che pure era stato vittima dei golpisti – ne risultò irrimediabilmente compromessa. Come riconobbe lo stesso Gorbaciov nel suo discorso finale, “il putsch d’agosto portò la crisi al limite estremo” e ciò che ne seguì – la dissoluzione dello Stato sovietico – fu la conseguenza più dirompente. [it.wikipedia.org][ru.wikisource.org], [ru.wikisource.org]
- Autunno 1991: l’indipendenza delle repubbliche. All’indomani del golpe fallito, il potere reale passò rapidamente ai leader delle repubbliche. El’cin in Russia prese il controllo delle istituzioni centrali (ordinò perfino di ammainare la bandiera rossa dal Parlamento russo e di eliminare i simboli sovietici). Le repubbliche dell’Unione, una dopo l’altra, dichiararono la propria indipendenza: già il 24 agosto 1991 l’Ucraina proclamò l’indipendenza (confermandola poi in un referendum popolare il 1º dicembre, in cui oltre il 90% dei cittadini ucraini votò per lasciare l’URSS). Entro la fine di agosto si erano dichiarate indipendenti Bielorussia, Moldavia, Azerbaigian, Kirghizistan, Uzbekistan; a settembre Armenia, Tagikistan e le tre repubbliche baltiche (il cui distacco fu finalmente riconosciuto da Mosca il 6 settembre 1991). In pratica, nel giro di poche settimane l’Unione Sovietica cessò di esistere come entità politica: Mosca non esercitava più alcuna autorità sulle repubbliche, che agivano ormai come Stati autonomi. Gorbaciov tentò un ultimo disperato negoziato per mantenere almeno una confederazione minima tra i nuovi Stati, ma ormai il dado era tratto. [it.wikipedia.org]
- 8 dicembre 1991: gli Accordi di Belaveža – nasce la CSI, muore l’URSS. Il colpo finale arrivò all’inizio di dicembre. Il 8 dicembre 1991, in una dacia nei boschi di Belavežskaja Pusča (Bielorussia), i leader di Russia (Boris El’cin), Ucraina (Leonid Kravčuk) e Bielorussia (Stanislav Šuškevič) si incontrarono segretamente. Essi firmarono il Trattato di Belaveža, con cui dichiaravano formalmente dissolta l’Unione Sovietica e annunciavano la creazione di una nuova entità, la Comunità degli Stati Indipendenti (CSI). Nel comunicato congiunto si legge: “L’URSS in quanto soggetto di diritto internazionale cessa di esistere”. Fu un atto di fatto rivoluzionario: tre repubbliche fondatrici dell’URSS (Russia, Ucraina, Bielorussia) denunciavano il Trattato di Unione del 1922 e sancivano la fine dello Stato sovietico. Gorbaciov non era stato nemmeno invitato a questo incontro decisivo, segno che ormai il suo ruolo era marginale. Pochi giorni dopo, il 12 dicembre, anche il Soviet Supremo della Russia ratificò l’accordo e richiamò i deputati russi dal parlamento unionale, completando la secessione russa dall’URSS (di fatto, l’atto che rese impossibile l’esistenza stessa dell’Unione). [it.wikipedia.org][it.wikipedia.org], [it.wikipedia.org]
- 21 dicembre 1991: Protocollo di Alma-Ata. Gli Accordi di Belaveža invitarono tutte le ex repubbliche sovietiche ad aderire alla neonata CSI. Il 21 dicembre 1991, a Alma-Ata (Kazakhstan), altri 8 leader – tra cui quelli di Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Armenia, Azerbaigian e Moldavia – si unirono alla Comunità firmando i Protocolli di Alma-Ata. In tal modo, 11 delle 15 ex repubbliche entravano nella CSI (le sole escluse rimasero le tre Baltiche, che avevano scelto un percorso del tutto indipendente e filo-occidentale, e la Georgia, allora in preda a conflitti interni, che aderirà solo nel 1993). In quei protocolli, oltre ad ampliare la CSI, si confermava la fine dell’URSS e si concordavano principi di cooperazione fra i neonati Stati indipendenti. [it.wikipedia.org]
- 25 dicembre 1991: Gorbaciov si dimette in diretta TV. A questo punto, gli eventi sul campo erano compiuti: restava solo l’atto formale finale. La sera del 25 dicembre 1991, alle ore 19 locali, Michail Gorbaciov apparve sulla televisione centrale di Mosca per annunciare le sue dimissioni da Presidente dell’URSS. Nel suo solenne discorso, trasmesso in mondovisione, Gorbaciov dichiarò: «In considerazione della situazione creatasi con la formazione della CSI, cesso la mia attività alla carica di Presidente dell’URSS». Egli rivendicò i successi delle riforme democratiche avviate dal 1985 ma espresse rammarico per lo smembramento dello Stato sovietico, affermando di non poter approvare quella scelta imposta dagli eventi. Fu un momento storico e carico di emozione: dopo quasi 70 anni, per la prima volta non c’era più un Presidente sovietico né un governo dell’Unione. Quella stessa sera, alle ore 18:35, la bandiera rossa dell’Unione Sovietica venne ammainata dal Cremlino e al suo posto fu issato il tricolore della Federazione Russa. L’URSS, nata dalla Rivoluzione del 1917, di fatto non esisteva più. [it.wikipedia.org][ru.wikisource.org], [facebook.com]
- 26 dicembre 1991: dissoluzione ufficiale dell’URSS. Il giorno seguente, il 26 dicembre, avvenne l’ultimo atto legale: il Soviet delle Repubbliche, camera alta del Parlamento sovietico, adottò una dichiarazione che formalizzava la dissoluzione dell’Unione Sovietica e l’abolizione di tutte le sue istituzioni. Contestualmente, si riconobbe l’indipendenza di tutte le ex repubbliche. Il più grande Stato del mondo per estensione si era frantumato pacificamente in una costellazione di Stati indipendenti. Fortunatamente – come avrebbe poi sottolineato Gorbaciov – questo avvenne senza che scoppiasse una guerra civile generalizzata, un rischio concreto dato l’arsenale nucleare e le tensioni etniche in gioco. Le forze armate sovietiche passarono sotto il controllo congiunto della CSI (provvisoriamente) e poi dei singoli nuovi Stati. Nel giro di pochi giorni, tutte le repubbliche ex sovietiche avevano ottenuto l’indipendenza e la comunità internazionale si affrettò a riconoscerle diplomaticamente. [it.wikipedia.org][liberoquotidiano.it]
I tre anni dal 1989 al 1991 avevano così cambiato il corso della storia: la Guerra Fredda terminò ufficialmente, venne scongiurato il rischio di un conflitto mondiale nucleare, e le mappe politiche furono ridisegnate. Nello spazio di sei mesi, 15 nuove bandiere sventolavano dove prima c’era solo quella rossa con la falce e martello. Nel contempo, decenni di strutture politiche, economiche e militari comuni si dissolsero, costringendo milioni di persone e interi settori industriali (come quello degli orologi) a un brusco adattamento a nuove realtà nazionali.
9 novembre 1989 – Caduta del Muro di Berlino
La barriera che divideva Berlino Est e Ovest viene abbattuta. È il simbolo del collasso dei regimi comunisti nell’Europa orientale e preannuncia la fine dell’influenza sovietica nella regione.
11 marzo 1990 – Lituania dichiara l’indipendenza
La Lituania, seguita poco dopo da Estonia e Lettonia, proclama il ripristino della propria indipendenza dall’URSS. È la prima repubblica sovietica a farlo, sfidando apertamente Mosca.
17 marzo 1991 – Referendum per salvare l’URSS
Si tiene un referendum in 9 repubbliche: il 76,4% dei votanti approva la proposta di mantenere una “Unione di Stati sovrani”. Le repubbliche baltiche, la Georgia, l’Armenia e la Moldavia boicottano il voto.
12 giugno 1991 – El’cin eletto Presidente della Russia
Boris El’cin vince le prime elezioni presidenziali della Repubblica Russa con il 57% dei voti, superando il candidato supported da Gorbaciov. La Russia afferma così la propria autonomia politica all’interno dell’URSS.
19–21 agosto 1991 – Colpo di stato fallito a Mosca
Un gruppo di dirigenti comunisti conservatori tenta un putsch per fermare le riforme di Gorbaciov. La popolazione e El’cin resistono: dopo tre giorni il golpe fallisce. Il Partito Comunista viene messo al bando in Russia.
8 dicembre 1991 – Accordi di Belaveža
Russia, Ucraina e Bielorussia firmano un accordo che dichiara sciolta l’Unione Sovietica e istituisce la Comunità degli Stati Indipendenti (CSI). Viene invitata ad aderire anche le altre repubbliche ex sovietiche.
25 dicembre 1991 – Gorbaciov si dimette
In un discorso televisivo alla nazione, Mikhail Gorbaciov annuncia le sue dimissioni da Presidente dell’URSS e la fine dell’Unione. La bandiera rossa sul Cremlino viene ammainata e sostituita dal tricolore russo.
26 dicembre 1991 – Fine legale dell’URSS
Il Soviet Supremo dell’URSS dichiara ufficialmente dissolta l’Unione Sovietica. Le 15 repubbliche sono ormai Stati indipendenti a tutti gli effetti, segnando la conclusione formale della storia dell’URSS.
21 dicembre 1991 – Protocollo di Alma-Ata
(Cronologicamente precedente al 25/12) Otto altre ex repubbliche (tra cui Kazakhstan, Uzbekistan, Armenia) si uniscono alla CSI firmando i protocolli di Alma-Ata. La CSI conta così 11 membri iniziali, eccetto le repubbliche baltiche e la Georgia.
1992–1993 – Nascita della CSI e primi attriti
I membri della CSI approvano uno Statuto (gennaio 1993) ma l’Ucraina e il Turkmenistan si rifiutano di ratificarlo, preferendo uno status di partecipazione “associata”. Ciò indebolisce la coesione della Comunità fin dall’inizio.
Agosto 2009 – La Georgia abbandona la CSI
In seguito al conflitto con la Russia (guerra in Ossezia del Sud 2008), la Georgia esce definitivamente dalla CSI. È il primo paese a ritirarsi formalmente dall’organizzazione, evidenziandone la fragilità.
Maggio 2018 – L’Ucraina esce dalla CSI
Anni dopo averne limitato la partecipazione, l’Ucraina (seconda repubblica ex-URSS per popolazione) interrompe ogni coinvolgimento nella CSI. Ormai la Comunità, priva di Ucraina e Georgia, ha perso gran parte del suo significato originario.
La Comunità degli Stati Indipendenti (CSI): nascita e declino
Obiettivi e primo periodo. La Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) nacque, come visto, immediatamente dopo la dissoluzione dell’URSS, con l’aspettativa di mantenere un legame di cooperazione tra le ex repubbliche sovietiche. Inizialmente vi aderirono 11 Stati (tutte le ex repubbliche tranne le Baltiche e la Georgia, la quale entrò nel 1993). La CSI fu pensata come un’organizzazione internazionale per gestire in modo ordinato la transizione post-sovietica: coordinare le politiche economiche, gestire la divisione dell’esercito sovietico e dell’arsenale nucleare, facilitare i rapporti commerciali e possibilmente sviluppare politiche comuni in alcuni settori. La sede fu fissata a Minsk (Bielorussia) e il russo venne adottato come lingua ufficiale dei lavori. In quei primi mesi, uno degli imperativi fu garantire il controllo dell’arsenale atomico sovietico: le testate nucleari distribuite in Ucraina, Bielorussia e Kazakhstan furono presto riportate sotto la responsabilità unificata (e poi trasferite alla sola Russia negli anni seguenti). Sul piano economico, si cercò di evitare il collasso totale delle interdipendenze: si mantenne un’area di libero scambio de facto e ci si impegnò a collaborare per non interrompere bruscamente le catene di fornitura industriali sviluppate in epoca sovietica. [it.wikipedia.org][liberoquotidiano.it]
Tuttavia, fin dall’inizio emersero divisioni interne significative. L’Ucraina, ad esempio, volle limitare la propria adesione: pur partecipando alla fondazione della CSI, non ratificò mai lo Statuto dell’organizzazione approvato nel gennaio 1993, in parte perché non accettava che la Russia fosse riconosciuta come unico Stato successore dell’URSS (ad esempio nel seggio ONU). Anche il Turkmenistan non ratificò lo statuto, preferendo uno status di “membro associato”. Ciò significava che fin da subito alcune repubbliche chiave consideravano la CSI non come un’entità sovranazionale vincolante, ma piuttosto come un forum volontario. [it.wikipedia.org]
I limiti e il fallimento della CSI. Nonostante le speranze iniziali, la CSI non si evolse mai in un’unione politica ed economica profonda. Già a metà anni ’90 era evidente che l’organizzazione faticava a conseguire i suoi obiettivi principali. Secondo molti osservatori, gli stessi obiettivi limitati della CSI si rivelarono di difficile realizzazione: la comunità si dimostrò incapace di arginare le spinte centrifughe e i conflitti tra gli ex alleati. Ad esempio, nel giro di pochi anni scoppiarono conflitti locali (la guerra in Nagorno-Karabakh tra Armenia e Azerbaigian, la guerra civile in Tagikistan, la secessione della Transnistria in Moldavia, le guerre separatiste in Georgia) senza che la CSI potesse fare granché per risolverli. Inoltre, non si realizzò mai una politica estera o di difesa comune: ciascun Paese seguì i propri interessi nazionali. La Russia costituì alleanze militari separate (come il Trattato di sicurezza collettiva, da cui però alcuni uscirono) e accordi bilaterali, ma la CSI come tale rimase politicamente debole. [it.wikipedia.org]
Va detto che alcuni aspetti della CSI furono funzionali: pur con tutte le sue debolezze, più che un ente puramente simbolico, la Comunità servì da piattaforma di dialogo e cooperazione tecnica. Sul piano economico, ad esempio, il maggiore risultato concreto fu la creazione di una zona di libero scambio tra molti dei paesi membri, formalizzata con accordi attuati entro il 2005. La CSI facilitò anche la collaborazione in materia di trasporti, telecomunicazioni, politiche sull’immigrazione e lotta al crimine organizzato. Fino alle Olimpiadi di Barcellona 1992, addirittura, gli atleti delle ex repubbliche gareggiarono insieme sotto la sigla CSI, onorando gli impegni sportivi assunti dall’URSS prima della dissoluzione. Questi elementi positivi, però, non poterono invertire la tendenza alla disgregazione. [it.wikipedia.org]
Nel corso degli anni 2000 la CSI perse ulteriormente rilevanza. La Georgia si ritirò completamente dall’organizzazione nel 2009, dopo il conflitto con la Russia, ritenendo la CSI incompatibile con il suo orientamento filo-NATO. L’Ucraina, pur essendo sempre stata membro solo di facciata, nel 2018 ha deciso di uscire definitivamente dalla Comunità a seguito della crisi con la Russia iniziata nel 2014. Attualmente (2025) la CSI comprende principalmente la Russia e alcuni Stati dell’Eurasia centrale (come Kazakhstan, Bielorussia, Uzbekistan e altri), ma ha un ruolo quasi esclusivamente consultivo. Di fatto, la CSI non è mai riuscita a realizzare l’integrazione politica e la coesione strategica che alcuni avevano auspicato nel 1991, rimanendo un organismo debole. Molte delle ex repubbliche hanno guardato altrove: le tre Baltiche sono entrate nell’Unione Europea e nella NATO; la Georgia e l’Ucraina hanno perseguito accordi più stretti con l’Occidente; altri paesi hanno preferito strutture alternative guidate dalla Russia (come l’Unione Economica Eurasiatica, fondata nel 2015). [it.wikipedia.org]
In conclusione, l’annuncio di Gorbaciov del 25 dicembre 1991 fu il punto culminante di un processo di dissoluzione pacifica ma tumultuosa. Quel discorso – che riportiamo integralmente qui di seguito in lingua originale e traduzione – rimane una testimonianza toccante della fine di un’era. Gorbaciov parlò dei successi e degli errori, della speranza nella democrazia e dell’angoscia per lo smembramento del Paese, augurando ai popoli ex sovietici una vita prospera e libera. Per quanto la Comunità di Stati Indipendenti emersa dalle ceneri dell’URSS non sia mai diventata l’erede integrata di quell’unione, il fatto che il colosso sovietico sia imploso senza sprofondare immediatamente nel caos generalizzato è un risultato che molti attribuiscono proprio alla gestione moderata di figure come Gorbaciov.
Di seguito, presentiamo la trascrizione integrale del discorso televisivo di Gorbaciov del 25 dicembre 1991, in lingua originale (russo) con a fronte la traduzione in italiano, quale fonte primaria di eccezionale valore storico.
Il discorso di Michail Gorbaciov – 25 dicembre 1991 (testo originale e traduzione)
(Fonte: «Российская газета», 26 dicembre 1991; archivio Wikisource. Traduzione italiana a cura dell’autore.)[ru.wikisource.org]
Testo originale (russo):
«Дорогие соотечественники! Сограждане!
В силу сложившейся ситуации с образованием Содружества Независимых Государств я прекращаю свою деятельность на посту Президента СССР. Принимаю это решение по принципиальным соображениям.
Я твердо выступал за самостоятельность, независимость народов, за суверенитет республик. Но одновременно и за сохранение союзного государства, целостности страны.
События пошли по другому пути. Возобладала линия на расчленение страны и разъединение государства, с чем я не могу согласиться. И после Алма-Атинской встречи и принятых там решений моя позиция на этот счет не изменилась.
Кроме того, убежден, что решения подобного масштаба должны были бы приниматься на основе народного волеизъявления.
Тем не менее я буду делать все, что в моих возможностях, чтобы соглашения, которые там подписаны, привели к реальному согласию в обществе, облегчили бы выход из кризиса и процесс реформ.
Выступая перед вами последний раз в качестве Президента СССР, считаю нужным высказать свою оценку пройденного с 1985 года пути. Тем более что на этот счет немало противоречивых, поверхностных и необъективных суждений.
Судьба так распорядилась, что, когда я оказался во главе государства, уже было ясно, что со страной неладно. Всего много: земли, нефти и газа, других природных богатств, да и умом и талантами Бог не обидел, а живем куда хуже, чем в развитых странах, все больше отстаем от них.
Причина была уже видна – общество задыхалось в тисках командно-бюрократической системы. Обреченное обслуживать идеологию и нести страшное бремя гонки вооружений, оно – на пределе возможного.
Все попытки частичных реформ – а их было немало – терпели неудачу одна за другой. Страна теряла перспективу. Так дальше жить было нельзя. Надо было кардинально все менять.
Вот почему я ни разу не пожалел, что не воспользовался должностью Генерального секретаря только для того, чтобы „поцарствовать“ несколько лет. Считал бы это безответственным и аморальным.
Я понимал, что начинать реформы такого масштаба и в таком обществе, как наше, – труднейшее и даже рискованное дело. Но и сегодня я убежден в исторической правоте демократических реформ, которые начаты весной 1985 года.
Процесс обновления страны и коренных перемен в мировом сообществе оказался куда более сложным, чем можно было предположить. Однако то, что сделано, должно быть оценено по достоинству:
– Общество получило свободу, раскрепостилось политически и духовно. И это – самое главное завоевание, которое мы до конца еще не осознали, а потому, что еще не научились пользоваться свободой. Тем не менее, проделана работа исторической значимости:
– Ликвидирована тоталитарная система, лишившая страну возможности давно стать благополучной и процветающей.
– Совершен прорыв на пути демократических преобразований. Реальными стали свободные выборы, свобода печати, религиозные свободы, представительные органы власти, многопартийность. Права человека признаны как высший принцип.
– Началось движение к многоукладной экономике, утверждается равноправие всех форм собственности. В рамках земельной реформы стало возрождаться крестьянство, появилось фермерство, миллионы гектаров земли отдаются сельским жителям, горожанам. Узаконена экономическая свобода производителя, и начали набирать силу предпринимательство, акционирование, приватизация.
– Поворачивая экономику к рынку, важно помнить – делается это ради человека. В это трудное время все должно быть сделано для его социальной защиты, особенно это касается стариков и детей.
Мы живем в новом мире. – Покончено с „холодной войной“, остановлена гонка вооружений и безумная милитаризация страны, изуродовавшая нашу экономику, общественное сознание и мораль. Снята угроза мировой войны.
Еще раз хочу подчеркнуть, что в переходный период с моей стороны было сделано все для сохранения надежного контроля над ядерным оружием.
– Мы открылись миру, отказались от вмешательства в чужие дела, от использования войск за пределами страны. И нам ответили доверием, солидарностью и уважением.
– Мы стали одним из главных оплотов по переустройству современной цивилизации на мирных, демократических началах.
– Народы, нации получили реальную свободу выбора пути своего самоопределения. Поиски демократического реформирования многонационального государства вывели нас к порогу заключения нового Союзного договора.
Все эти изменения потребовали огромного напряжения, проходили в острой борьбе, при нарастающем сопротивлении сил старого, отжившего, реакционного – и прежних партийно-государственных структур, и хозяйственного аппарата, да и наших привычек, идеологических предрассудков, уравнительной и иждивенческой психологии. Они наталкивались на нашу нетерпимость, низкий уровень политической культуры, боязнь перемен. Вот почему мы потеряли много времени. Старая система рухнула до того, как успела заработать новая. И кризис общества еще больше обострился.
Я знаю о недовольстве нынешней тяжелой ситуацией, об острой критике властей на всех уровнях и лично моей деятельности. Но еще раз хотел бы подчеркнуть: кардинальные перемены в такой огромной стране, да еще с таким наследием, не могут пройти безболезненно, без трудностей и потрясений.
Августовский путч довел общий кризис до предельной черты. Самое губительное в этом кризисе – распад государственности. И сегодня меня тревожит потеря нашими людьми гражданства великой страны – последствия могут оказаться очень тяжелыми для всех.
Жизненно важным мне представляется сохранить демократические завоевания последних лет. Они выстраданы всей нашей историей, нашим трагическим опытом. От них нельзя отказываться ни при каких обстоятельствах и ни под каким предлогом. В противном случае все надежды на лучшее будут похоронены.
Обо всем этом я говорю честно и прямо. Это мой моральный долг.
Сегодня хочу выразить признательность всем гражданам, которые поддержали политику обновления страны, включились в осуществление демократических реформ.
Я благодарен государственным, политическим и общественным деятелям, миллионам людей за рубежом – тем, кто понял наши замыслы, поддержал их, пошел нам навстречу, на искреннее сотрудничество с нами.
Я покидаю свой пост с тревогой. Но и с надеждой, с верой в вас, в вашу мудрость и силу духа. Мы – наследники великой цивилизации, и сейчас от всех и каждого зависит, чтобы она возродилась к новой современной и достойной жизни.
Хочу от всей души поблагодарить тех, кто в эти годы вместе со мной стоял за правое и доброе дело. Наверняка каких-то ошибок можно было бы избежать, многое сделать лучше. Но я уверен, что раньше или позже наши общие усилия дадут плоды, наши народы будут жить в процветающем и демократическом обществе.
Желаю всем вам всего самого доброго».
Traduzione italiana:
«Cari compatrioti! Concittadini!
In virtù della situazione venutasi a creare con la costituzione della Comunità degli Stati Indipendenti, lascio il mio incarico di Presidente dell’URSS. Prendo questa decisione per ragioni di principio.
Mi sono sempre battuto con fermezza a favore dell’autonomia e dell’indipendenza dei popoli, per la sovranità delle repubbliche. Ma al tempo stesso ho difeso la preservazione dello Stato unitario e l’integrità del Paese.
Gli eventi hanno preso un’altra direzione. Ha prevalso la linea dello smembramento del paese e della disgregazione dello Stato, cosa che non posso accettare. Neppure dopo l’incontro di Alma-Ata e le decisioni prese lì la mia posizione in proposito è cambiata.
Inoltre, sono convinto che decisioni di tale portata avrebbero dovuto essere prese sulla base di un’espressione di volontà popolare.
Ciononostante farò tutto ciò che è in mio potere affinché gli accordi firmati in quella sede portino a un autentico accordo nella società, e facilitino l’uscita dalla crisi e il processo di riforme.
Rivolgendomi a voi per l’ultima volta in qualità di Presidente dell’URSS, ritengo necessario esprimere la mia valutazione del cammino che abbiamo percorso dal 1985. Tanto più che su questo tema vi sono molti giudizi contraddittori, superficiali e non obiettivi.
Il destino ha voluto che, quando mi sono trovato a capo dello Stato, fosse già chiaro che qualcosa nel Paese non andava. Avevamo di tutto in abbondanza – terra, petrolio e gas, altre ricchezze naturali – e Dio non ci ha negato intelligenza e talento; eppure vivevamo molto peggio rispetto ai Paesi sviluppati, restando sempre più indietro rispetto a loro.
La causa era evidente: la società soffocava nella morsa del sistema di comando burocratico, condannata a servire l’ideologia e a sostenere il terribile peso della corsa agli armamenti, ed era giunta al limite estremo delle proprie possibilità.
Tutti i tentativi di riforme parziali – e ce ne furono molti – fallivano uno dopo l’altro. Il Paese perdeva prospettive. Non si poteva continuare a vivere così. Bisognava cambiare tutto radicalmente.
Ecco perché non ho mai rimpianto di non aver sfruttato la carica di Segretario Generale solo per “regnare” qualche anno da sovrano assoluto. L’avrei considerato irresponsabile e immorale.
Sapevo che avviare riforme di tale portata in una società come la nostra era un compito difficilissimo e persino rischioso. Ma ancora oggi sono convinto della giustezza storica delle riforme democratiche che sono state avviate nella primavera del 1985.
Il processo di rinnovamento del Paese e dei cambiamenti radicali nella comunità internazionale si è rivelato molto più complesso di quanto si potesse supporre. Tuttavia, ciò che è stato fatto merita di essere valutato con obiettività:
– La società ha conquistato la libertà, si è liberata politicamente e spiritualmente. Questa è la conquista più importante, che non abbiamo ancora compreso appieno, perchè non abbiamo ancora imparato a utilizzare la libertà. Ciononostante, è stato svolto un lavoro di importanza storica:
– È stato eliminato il sistema totalitario che da tempo privava il Paese della possibilità di diventare prospero e fiorente.
– È stata compiuta una svolta decisiva nel cammino delle trasformazioni democratiche. Sono diventati realtà le libere elezioni, la libertà di stampa, le libertà religiose, organi di potere rappresentativi, il multipartitismo. I diritti umani sono stati riconosciuti come principio supremo.
– È iniziato il cammino verso un’economia diversificata; si sta affermando la parità di tutte le forme di proprietà. Nell’ambito della riforma agraria, il ceto contadino ha cominciato a rinascere, sono apparsi i primi agricoltori privati, milioni di ettari di terra vengono trasferiti agli abitanti delle campagne e delle città. È stata legalizzata la libertà economica del produttore, e hanno preso slancio l’iniziativa privata, la trasformazione in società per azioni, le privatizzazioni.
– Nel riorientare l’economia verso il mercato, è importante ricordare che ciò si fa per il bene delle persone. In questo periodo difficile, bisogna fare di tutto per garantire la protezione sociale, soprattutto per gli anziani e i bambini.
Viviamo in un mondo nuovo. – È finita la “guerra fredda”, si è fermata la corsa agli armamenti e la folle militarizzazione del Paese, che aveva deformato la nostra economia, la coscienza sociale e la morale. È stata eliminata la minaccia di una guerra mondiale.
Voglio sottolineare ancora una volta che durante il periodo di transizione, da parte mia è stato fatto tutto il necessario per mantenere un affidabile controllo sulle armi nucleari.
– Ci siamo aperti al mondo, abbiamo rinunciato a interferire negli affari altrui, a usare truppe fuori dai confini del Paese. E in risposta abbiamo ricevuto fiducia, solidarietà e rispetto.
– Siamo diventati uno dei principali pilastri per la rifondazione della civiltà moderna su basi pacifiche e democratiche.
– I popoli, le nazioni, hanno ottenuto una reale libertà di scegliere il proprio percorso di autodeterminazione. La ricerca di una riforma democratica di uno Stato plurinazionale ci aveva condotti alla soglia della firma di un nuovo Trattato dell’Unione.
Tutti questi cambiamenti hanno richiesto uno sforzo enorme, e si sono svolti in una dura lotta, di fronte alla crescente resistenza delle forze del vecchio ordine, ormai superato e reazionario – delle precedenti strutture di partito e di Stato, dell’apparato economico, così come delle nostre abitudini, dei pregiudizi ideologici, della mentalità egualitaria e parassitaria. Si sono scontrati con la nostra intolleranza, il basso livello di cultura politica, la paura del cambiamento. Ecco perché abbiamo perso molto tempo. Il vecchio sistema è crollato prima che il nuovo riuscisse a funzionare, e la crisi della società si è aggravata ancora di più.
So del malcontento per l’attuale difficile situazione, delle aspre critiche alle autorità a tutti i livelli e alla mia persona. Ma vorrei sottolineare ancora una volta: cambiamenti radicali in un paese così enorme, per di più con tale eredità storica, non possono avvenire senza dolore, senza difficoltà e scosse.
Il putsch d’agosto ha portato la crisi generale al limite estremo. L’aspetto più devastante di questa crisi è la disintegrazione della statualità. E oggi mi preoccupa la perdita, da parte della nostra gente, della cittadinanza di un grande Paese – le conseguenze potrebbero rivelarsi molto pesanti per tutti.
Mi sembra di vitale importanza preservare le conquiste democratiche degli ultimi anni. Esse sono state ottenute con la sofferenza di tutta la nostra storia, della nostra tragica esperienza. Non si può rinunciarvi in nessuna circostanza e sotto nessun pretesto. Altrimenti tutte le nostre speranze per un futuro migliore saranno sepolte.
Di tutto ciò parlo onestamente e francamente. È il mio dovere morale.
Oggi desidero esprimere riconoscenza a tutti i cittadini che hanno sostenuto la politica di rinnovamento del Paese, che si sono impegnati nell’attuazione delle riforme democratiche.
Sono grato ai dirigenti statali, politici e pubblici, e a milioni di persone all’estero – coloro che hanno compreso i nostri intenti, li hanno sostenuti, ci sono venuti incontro instaurando una sincera cooperazione con noi.
Lascio il mio incarico con apprensione. Ma anche con speranza, con fede in voi, nella vostra saggezza e forza d’animo. Siamo gli eredi di una grande civiltà e ora dipende da tutti e da ciascuno di noi far sì che essa rinasca a una vita nuova, moderna e dignitosa.
Desidero di cuore ringraziare coloro che in questi anni sono stati insieme a me dalla parte della causa giusta e buona. Certamente si sarebbero potuti evitare alcuni errori, e molte cose si potevano fare meglio. Ma sono convinto che, prima o poi, i nostri sforzi comuni daranno i loro frutti, e i nostri popoli vivranno in una società prospera e democratica.
Auguro a tutti voi ogni bene.» [ru.wikisource.org], [facebook.com]
Conclusione. La fine dell’Unione Sovietica, ufficializzata da quell’annuncio di Gorbaciov il 25 dicembre 1991, resta uno degli eventi cardine del XX secolo. In pochi mesi si chiuse un capitolo durato settant’anni e se ne aprì un altro, ricco di incognite. Per gli appassionati di orologeria russa e sovietica, quell’epoca segnò anche la cesura tra due ere produttive: le fabbriche di orologi dell’ex URSS dovettero affrontare da sole la nuova realtà, alcune chiudendo o trasformandosi, altre trovando modi per sopravvivere e continuare la gloriosa tradizione (la Prima Fabbrica di Orologi di Mosca – Poljot – fu privatizzata negli anni ’90, la Raketa di Pietrogrado cercò nuovi mercati, etc.). Sul piano storico generale, la dissoluzione dell’URSS avvenne in modo relativamente ordinato e pacifico: un fatto tutt’altro che scontato, reso possibile sia dal senso di responsabilità di leader come Gorbaciov – che rifiutò di usare la forza per tenere insieme un impero in frantumi – sia dalla volontà delle repubbliche di collaborare almeno in parte nella CSI per evitare il caos totale. Sebbene la CSI non abbia realizzato l’integrazione sperata, quell’uscita di scena dell’Unione Sovietica rimane un esempio di transizione epocale gestita senza scivolare in una guerra civile tra ex compagni di viaggio.
Trent’anni dopo, i libri di storia giudicano in vario modo i protagonisti di quei giorni – Gorbaciov venerato da alcuni come artefice della libertà, criticato da altri come colui che “perse l’Impero” – ma l’importanza di comprendere quegli eventi dal 1989 al 1991 è fuori discussione. Speriamo che questo articolo, ricco di dettagli documentati e fonti originali, offra un contributo utile e autorevole a chi desidera approfondire quel periodo cruciale, che fu davvero un giro di boa per la Russia, l’Europa e il mondo intero. [it.wikipedia.org], [it.wikipedia.org]
Contents
- 1 Le premesse (1989–1990): dall’Europa dell’Est alle spinte secessioniste interne
- 2 Il 1991: colpo di Stato e dissoluzione dell’Unione Sovietica
- 2.0.1 9 novembre 1989 – Caduta del Muro di Berlino
- 2.0.2 11 marzo 1990 – Lituania dichiara l’indipendenza
- 2.0.3 17 marzo 1991 – Referendum per salvare l’URSS
- 2.0.4 12 giugno 1991 – El’cin eletto Presidente della Russia
- 2.0.5 19–21 agosto 1991 – Colpo di stato fallito a Mosca
- 2.0.6 8 dicembre 1991 – Accordi di Belaveža
- 2.0.7 25 dicembre 1991 – Gorbaciov si dimette
- 2.0.8 26 dicembre 1991 – Fine legale dell’URSS
- 2.0.9 21 dicembre 1991 – Protocollo di Alma-Ata
- 2.0.10 1992–1993 – Nascita della CSI e primi attriti
- 2.0.11 Agosto 2009 – La Georgia abbandona la CSI
- 2.0.12 Maggio 2018 – L’Ucraina esce dalla CSI
- 3 La Comunità degli Stati Indipendenti (CSI): nascita e declino
- 4 Il discorso di Michail Gorbaciov – 25 dicembre 1991 (testo originale e traduzione)
