Storia dell’Orologeria Cinese (origini – 2010)
Introduzione: L’industria orologiera cinese nasce a metà anni ’50 da uno sforzo statale per colmare il “vuoto industriale” lasciato dalla fine delle importazioni e creare un prodotto di prestigio nazionale. Nel 1955 viene realizzato a Tianjin il primo orologio da polso interamente cinese, il celebre “Five Stars” (Wuxing) a 15 rubini. Da quel momento, la Cina avvia una rapida espansione della produzione di orologi meccanici, con l’obiettivo dichiarato di raggiungere la qualità dell’orologeria svizzera. Entro la fine degli anni ’50 sorgono fabbriche in punti strategici del paese (una per grande regione), ponendo le basi di una cultura orologiera nazionale. Negli anni ’60 e ’70 l’orologio meccanico diviene un bene popolare e simbolico: possederne uno – al pari di una bicicletta o di una macchina da cucire – era un sogno per molti cinesi, benché spesso inaccessibile economicamente. In questo periodo l’orologeria cinese raggiunge il suo apice di splendore, sia in quantità che in qualità, sostenuta da scelte politiche precise e da collaborazioni strategiche (soprattutto con l’URSS). Negli anni ’70 il governo introduce un movimento meccanico unificato, il “Tongji”, prodotto in massa in ogni provincia, contribuendo a decine di milioni di orologi popolari. La fine degli anni ’70 e gli anni ’80 vedono però nuove sfide: la “rivoluzione del quarzo”, l’apertura economica e il calo qualitativo di alcuni prodotti portano a una crisi e a profonde riorganizzazioni. Entro il 2010, l’industria si è trasformata: alcune delle storiche fabbriche sono sopravvissute (reinventandosi o fondendosi), altre sono scomparse. Di seguito analizziamo in dettaglio questa evoluzione, toccando i punti richiesti: fabbriche attive nel 1960 (storia e destino), sviluppo dei calibri meccanici cinesi (in primis il Tongji), collaborazioni sino-sovietiche degli esordi, e peculiarità delle realtà produttive prossime alla Corea del Nord. [ourchinastory.com] [sovietaly.it]
Origini (anni ’50): Le prime fabbriche di orologi in Cina
All’indomani della fondazione della RPC (1949), la Cina non produceva internamente orologi da polso; venivano importati dall’Occidente, e mancava completamente un “Made in China” in questo settore. Ciò cambiò a metà anni ’50 grazie a progetti pilota promossi dallo Stato. Nel 1955, il Comune di Tianjin finanziò con 100 yuan un piccolo gruppo di quattro maestri orologiai per sviluppare un prototipo nazionale. Operando in un laboratorio improvvisato con attrezzature di base (torni e trapani piccoli), in poco più di 100 giorni il team assemblò oltre 140 componenti e produsse il primo orologio da polso fabbricato in Cina, denominato “Wu Xing” o Cinque Stelle. Sul quadrante comparivano la scritta “Made in China” e cinque stelle dorate, con indicazione 15 Jewels sul movimento – un segnatempo storico poi donato alle autorità. Quel gruppo di Tianjin divenne il nucleo della futura Tianjin Watch Factory (poi nota come Sea-Gull), fondata ufficialmente nel 1958. [chinesewatchwiki.net] [ourchinastory.com] [chinesewatchwiki.net]
Parallelamente, altre città intraprendono progetti simili. A Shanghai, tra il 1955 e il 1957, un consorzio di 58 piccole imprese cittadine – coordinato dall’Ufficio Leggero locale – sviluppa i primi prototipi basati sul calibro svizzero AS 1187. Vengono realizzati i primi modelli di prova denominati He Ping (“Pace”) e Dongfanghong (“L’Oriente è Rosso”). Nel 1958 Shanghai apre il suo grande stabilimento, la Shanghai Watch Factory, che avvia la produzione del calibro A581 da 17 rubini ispirato ad un modello svizzero e lancia il marchio Shanghai. Nello stesso anno (1958) nascono formalmente anche la Beijing Watch Factory a Pechino e la Guangzhou Watch Factory a Canton. [chinesewatchwiki.net] [chinesewatchwiki.net], [chinesewatchwiki.net] [chinesewatchwiki.net], [chinesewatchwiki.net]
In realtà, alcuni di questi progetti avevano radici leggermente precedenti: a Nanchino (Nanjing), ad esempio, già nel 1955-56 erano attivi laboratori di orologeria riuniti poi nel Nanjing Watch Factory (denominato così dal 1971). A Dandong in Manciuria (allora chiamata Andong), sette tecnici della locale fabbrica metallurgica riuscirono a costruire artigianalmente 4 orologi nel 1957 copiando un Rodania svizzero, fondando così la Andong Watch Factory. Entro il 1960, dunque, esisteva una prima generazione di fabbriche di orologi cinesi, generalmente una per grande regione: le principali erano situate a Pechino, Tianjin, Shanghai, Canton (Guangzhou), Nanchino, Dandong (Liaoning) e anche a Qingdao e Jilin (altre zone strategiche). Queste strutture pionieristiche – le più antiche e attive dell’industria cinese nascente – posero le basi tecnologiche e formative per la successiva espansione capillare. [chinesewatchwiki.net] [peacockwatches.com] [chinesewatchwiki.net], [chinesewatchwiki.net]
Dal punto di vista tecnico, i primi calibri cinesi erano spesso derivati da progetti svizzeri: sia Tianjin che Shanghai inizialmente presero a modello movimenti elvetici semplici. Ad esempio, Shanghai utilizzò come base un movimento Roamer MST cal.371 per il suo prototipo BS-1 del 1958, mentre Nanchino copiò movimenti Roamer 372 per i suoi primi orologi Zijinshan negli anni 1958-60. Questa scelta pragmatica permise di accelerare lo sviluppo: già nel 1958 le fabbriche di Shanghai e Tianjin producevano piccoli lotti di orologi di qualità accettabile. Tra 1958 e 1962 Pechino realizzò solo 3.726 esemplari del suo primo modello (BS-1) data l’estrema cura posta (17 rubini, finiture paragonabili agli equivalenti svizzeri). Tianjin, dal canto suo, lanciò nel 1958 un modello 17 rubini chiamato WuYi (in onore del 1° Maggio) basato su un calibro svizzero FHF e noto per la buona qualità: rimase in produzione fino al 1971. [chinesewatchwiki.net] [chinesewatchwiki.net] [chinesewatchwiki.net], [chinesewatchwiki.net] [chinesewatchwiki.net]
Queste prime fabbriche godevano del sostegno diretto delle autorità locali e centrali. Ad esempio, il sindaco di Pechino Peng Zhen impose che gli orologi prodotti fossero pari in qualità a quelli svizzeri equivalenti – un obiettivo ambizioso che portò a pezzi raffinati ma costosi da produrre. L’orologeria era vista come un settore strategico sia economicamente sia simbolicamente: possedere un orologio ben funzionante significava modernità. Non a caso, i primi marchi spesso portavano nomi patriottici o auspici di progresso: Dongfanghong (“Oriente Rosso”), Zhongshan (in onore di Sun Yat-sen), Hongqi (“Bandiera Rossa”), Qianjin (“Avanti”) etc., a testimonianza del legame con l’ideologia e la propaganda del tempo. [chinesewatchwiki.net]
Collaborazione con l’Unione Sovietica (anni ’50–’60)
In questa fase iniziale, un ruolo importante lo giocò la cooperazione con l’Unione Sovietica, allora principale alleato tecnico della Cina. I sovietici possedevano un’industria orologiera avviata dagli anni ’30 (fabbriche a Mosca e Čistopol’), e condividevano know-how con la Cina in vari settori industriali. Nel campo degli orologi, l’apporto sovietico fu concreto soprattutto all’inizio degli anni ’60: ad esempio, attorno al 1962, esperti orologiai sovietici furono inviati ad assistere la fabbrica di Andong/Dandong (Liaoning). Grazie a questa consulenza e all’accesso a progetti dell’Est europeo, i tecnici cinesi di Liaoning riuscirono a riprodurre il movimento sovietico Poljot 2409 (17 rubini, piccolo secondo) e a lanciarlo in produzione con il nome calibro “A61”. Nel 1965 l’imitazione del Poljot 2409 superò l’esame ministeriale e divenne il movimento standard della marca Liaoning. Questa collaborazione tecnica diede i suoi frutti: in appena 5 anni la produzione annuale della fabbrica di Liaoning passò da 2.000 a oltre 13.000 pezzi. [peacockwatches.com]
Su scala nazionale, l’influenza sovietica si fece sentire anche sul piano formativo: ingegneri e orologiai cinesi visitarono impianti sovietici e adottarono metodologie di progettazione mutuandole da Mosca. I contatti politici facilitarono inoltre importazioni di macchinari svizzeri via URSS: nel 1960, nell’ambito dei piani di aiuto sino-sovietici, la Cina acquistò in blocco attrezzature specializzate dalla Svizzera (compreso il know-how del movimento “Leuba C”) e le smistò tra le sue fabbriche nascenti. Parte di questi macchinari andò alle officine di Dandong, Pechino e Guangzhou, velocizzando il loro sviluppo. [peacockwatches.com]
L’impatto concreto di queste sinergie fu duplice: tecnologico (accesso a progetti collaudati come il Poljot 2409, che divenne la base per molti orologi cinesi economici degli anni ’60) e strategico (rafforzamento del settore orologiero come fiore all’occhiello dell’amicizia socialista). Ad esempio, alcuni segnatempo cinesi degli anni ’60 montavano movimenti praticamente identici ai sovietici Zvezda o Pobeda. In sintesi, prima della rottura politica sino-sovietica (1960), l’URSS aiutò la Cina a muovere i primi passi industriali nell’orologeria, trasferendo conoscenze di base e favorendo l’autosufficienza iniziale del paese in questo campo. [peacockwatches.com]
Le fabbriche cinesi attive nel 1960 e le loro caratteristiche
Verso il 1960, la Cina contava dunque circa 5–8 fabbriche di orologi operative, ciascuna con caratteristiche proprie ma alcune denominatori comuni. La tabella seguente elenca le principali fabbriche esistenti intorno al 1960, con anno di fondazione, sede, e stato al 2010.
| Fabbrica | Anno fondaz. | Località | Stato al 2010 |
| Beijing Watch Factory | 1958 | Pechino (Beijing) | Attiva (alta gamma) |
| Tianjin Watch Factory (Sea-Gull) | 1958 | Tianjin | Attiva (Sea-Gull Group) |
| Shanghai Watch Factory | 1958 | Shanghai | Attiva (ristrutturata dal 2000) |
| Guangzhou (Five Goat) WF | 1958 | Canton (Guangzhou) | Attiva (dal 2011 Wuyang JV) |
| Liaoning Watch Factory (ex Andong) | 1957 | Dandong, Liaoning | Attiva (Peacock Watch Co.) |
| Nanjing Watch Factory | 1956 (nome attuale dal 1971) | Nanchino, Jiangsu | Chiusa (~2005) |
| Qingdao Watch Factory | 1958 | Qingdao, Shandong | Attiva (Qingdao Zixin Co.) |
Tabella – Principali fabbriche cinesi attive nei primi anni ’60, con evoluzione fino al 2010. Si noti che negli anni successivi sorsero molte altre fabbriche in quasi tutte le province (specialmente durante il programma “Tongji”), ma quelle elencate furono le pioniere originarie e le più rilevanti storicamente.
Espansione negli anni ’60: crescita e specializzazioni
Nei primi anni ’60, forte dell’esperienza accumulata, l’industria orologiera cinese maturò rapidamente. La qualità aumentò e le quantità pure, grazie all’ampliamento delle fabbriche iniziali e alla nascita di nuovi stabilimenti. Ad esempio, la Shanghai Watch Factory, che nel 1960 produceva poche migliaia di orologi l’anno, nel 1968 triplicò la capacità aggiungendo soppalchi temporanei (rimasti in uso per 20 anni data la domanda). Entro la fine del decennio Shanghai era il principale produttore cinese, con il logo “Shanghai” ben noto in tutto il paese. Anche Tianjin ampliò la gamma: oltre agli orologi semplici WuYi, nel 1965 realizzò un’impresa tecnica notevole sviluppando il calibro ST5 “Dongfeng” (East Wind), il primo movimento interamente progettato e costruito in Cina senza basi straniere. Lo ST5 era sottile, preciso, 19 rubini (inclusi rubini sul bariletto di carica) e raggiunse il primo grado nazionale di precisione, tanto che la fabbrica di Tianjin ottenne una deroga per continuare a produrre questo movimento proprietario anche dopo l’avvento dello standard unificato. Lo ST5 è tuttora molto apprezzato dai collezionisti per le sue finiture a “raggi di mare” incise a mano sulle platine. [chinesewatchwiki.net] [chinesewatchwiki.net]
Un’altra pietra miliare fu lo sviluppo del primo cronografo cinese. Nel 1961 il governo commissionò alla Tianjin Watch Factory l’“Project 304” per un orologio da pilota dell’aeronautica PLA. Colse un’opportunità dalla Svizzera: la Venus vendette alla Cina i macchinari del cronografo Venus 175 (la stessa offerta era stata rifiutata dall’URSS). I tecnici cinesi adattarono il progetto e, nel 1965, produssero i primi prototipi di cronografo bi-compass 30 minuti. Approvato dall’aeronautica, il movimento entrò in produzione come calibro ST3: entro metà 1966 furono consegnati 1400 orologi cronografi ai piloti dell’aeronautica cinese. Si trattava di un cronografo a carica manuale 19 rubini, derivato dal Venus 175 ma rinominato Calibro 304 (oggi noto come ST19 nella versione commerciale Sea-Gull). Questo fu un esempio di collaborazione tecnologica indiretta con l’Occidente: la Cina, esclusa dai canali commerciali ordinari, riuscì ad acquisire know-how di alto livello bypassando l’URSS. Il cronografo risultante, robusto e preciso, rimase in dotazione militare e negli anni 2000 sarebbe stato rilanciato sul mercato come Sea-Gull ST1901, divenendo famoso tra gli appassionati per equipaggiare i reissue del cronografo “1963”. [chinesewatchwiki.net] [chinesewatchwiki.net], [chinesewatchwiki.net]
Sul fronte produttivo generale, la seconda metà degli anni ’60 vide una crescita capillare. Oltre alle fabbriche principali, iniziarono a operare stabilimenti a Chongqing, Xi’an, Harbin, Changsha, Wuhan e in altre città, sebbene molti di questi producessero inizialmente orologi solo in quantità limitate o assemblassero componenti forniti dai “big”. Malgrado i fermenti politici interni (Rivoluzione Culturale, 1966-69), l’industria orologiera riuscì a mantenere il focus produttivo: alcune fabbriche conobbero difficoltà (a Pechino, ad esempio, gli standard di qualità calarono un po’ verso il 1967 a causa del caos politico locale), ma nel complesso il settore rimase un fiore all’occhiello tecnologico su cui il governo continuava a investire. [chinesewatchwiki.net]
Un indicatore della crescita: nel 1965 la Cina produsse circa 1,35 milioni di orologi (stima dedotta dalle serie prodotte); nel 1970 questo numero era salito a milioni di pezzi l’anno, con un accesso più ampio della popolazione a questi beni un tempo di lusso. In quegli anni ’60, inoltre, iniziarono le prime esportazioni di orologi cinesi in paesi amici: ad esempio Tianjin esportò a metà ’70 i suoi modelli Sea-Gull in Asia e perfino in Inghilterra, mentre Nanchino spediva orologi economici Zhongshan verso l’Africa. [chinesewatchwiki.net] [chinesewatchwiki.net] [chinesewatchwiki.net]
Dal punto di vista politico e strategico, l’orologeria fu anche uno strumento di diplomazia. Un caso emblematico fu la Fabbrica del Liaoning (Dandong), situata al confine con la Corea del Nord. Negli anni ’60 la vicinanza geografica e ideologica spinse questa fabbrica a produrre orologi commemorativi per la Corea del Nord, regalati in occasione di visite ufficiali o eventi fraterni. Questi orologi spesso recavano simboli nordcoreani e celebrativi, rappresentando la cooperazione tra i due paesi. La Liaoning realizzò ad esempio serie speciali per delegazioni di Pyongyang, consolidando i legami sino-coreani attraverso il segnatempo. Questo aspetto “politico” dell’orologio cinese – non solo bene di consumo, ma anche veicolo propagandistico e regalo diplomatico – sottolinea l’importanza strategica attribuita all’industria: produrre un buon orologio significava mostrare al mondo (e al popolo) il progresso tecnologico raggiunto dal socialismo cinese. [sovietaly.it]
Il calibro unificato “Tongji” (anni ’70): standardizzazione e diffusione di massa
Una svolta cruciale avvenne alla fine degli anni ’60, quando lo Stato decise di standardizzare la produzione orologiera per aumentarne l’efficienza e la capillarità. Nel Quarto Piano Quinquennale (1971-1975) fu lanciato un programma di “consolidamento” dell’industria: ingegneri provenienti da diverse fabbriche storiche (Shanghai, Tianjin, Pechino, Guangzhou, Liaoning, Xi’an ecc.) vennero riuniti sotto la guida del Ministero dell’Industria Leggera per progettare un movimento meccanico unico, semplice ed economico da fabbricare in tutti gli stabilimenti. Il progetto, avviato nel 1969, portò nel 1971 al disegno definitivo di quello che venne chiamato 统一机芯 (Tongyi Jixin) – in italiano “Movimento Unificato” – abbreviato colloquialmente Tongji (统机). [chinesewatchwiki.net]
Le specifiche di questo “calibro standard cinese” erano precise: movimento a carica manuale, 17 rubini minimo, frequenza 21.600 alternanze/ora, autonomia di almeno 40 ore e precisione media entro ±30 secondi/giorno. Il design doveva impiegare un numero ridotto di componenti, per facilitarne la produzione di massa e la manutenzione, senza sacrificare troppo l’accuratezza. Il risultato fu un movimento semplice, robusto e versatile, il cui prototipo denominato SZ-1 venne completato e testato entro fine 1971. [chinesewatchwiki.net]
Nel 1972 iniziò la produzione in serie del calibro unificato. La Shanghai Watch Factory No.2 fu la prima a sfornare orologi standard (marca Baoshihua), seguita a ruota da Pechino (marca Shuangling, doppio rombo) e dalla casa madre Shanghai (marca Shanghai, calibro SS7 da 19 rubini). Praticamente tutte le fabbriche esistenti vennero obbligate a interrompere i propri movimenti distinti e a convertire le linee produttive al Tongji. Solo alcune eccezioni furono tollerate: come accennato, Shanghai poté continuare il suo pregiato calibro automatico SM1A presso la filiale ZuanShi, Tianjin fu esentata per proseguire lo ST5 di alta qualità, e Nanchino mantenne il suo economico SN2 per orologi di fascia bassa. Tutti gli altri, dal 1973 in poi, fabbricarono quasi esclusivamente orologi col movimento standard 统一. [chinesewatchwiki.net]
Questa politica di uniformazione ebbe un effetto travolgente: vennero aperte fabbriche di orologi in tutte le province cinesi (spesso integrate in grandi complessi industriali locali). In pochi anni, oltre 30 imprese orologiere producevano il Tongji in tutto il Paese, e forse fino a 50 se si includono piccoli stabilimenti e linee ausiliarie. L’obiettivo di “un orologio per ogni cittadino” divenne realistico. La produzione annua di orologi in Cina schizzò da 6,56 milioni di pezzi nel 1974 a 33 milioni nel 1982 – un aumento impressionante. Entro il 1983, circa l’82% degli orologi cinesi montava il calibro standard. In altre parole, centinaia di milioni di persone poterono acquistare a prezzi accessibili un segnatempo meccanico affidabile, spesso con cassa in acciaio e marchio locale, ma cuore identico per tutti. [sovietaly.it] [chinesewatchwiki.net]
Tecnicamente, il Tongji aveva un diametro di circa 25,6 mm (12 ligne) ed era modulare: diverse fabbriche ne svilupparono varianti migliorative o aggiunsero complicazioni. Ad esempio, Beijing introdusse subito una versione a 20 rubini del suo standard (calibro ZB-1) per aumentarne la durata. Hangzhou creò una variante a 19 rubini per i suoi orologi Xihu. Liaoning aggiunse antiurto e qualche gioiello extra, e soprattutto progettò un modulo automatico con 33 e 37 rubini per la sua marca Kongque (Peacock). Pechino sviluppò persino un Tongji automatico a 40 rubini (SZB-1C) con datario istantaneo e opzione giorno-data, il primo orologio automatico standard prodotto in Cina (realizzato in poche centinaia di unità di prova). Queste versioni premium però rimasero limitate; la stragrande maggioranza degli orologi sul mercato interno montava il movimento base 17 rubini a carica manuale, noto per la sua affidabilità più che per la finezza. [chinesewatchwiki.net] [chinesewatchwiki.net], [chinesewatchwiki.net] [chinesewatchwiki.net], [chinesewatchwiki.net]
Il Tongji fu dunque un enorme successo strategico. Da bene di lusso, l’orologio divenne un bene di consumo di massa in Cina negli anni ’70: quasi ogni lavoratore poteva permettersi (o ricevere come premio aziendale) un orologio da polso in acciaio con movimento standard. Molti portavano sul fondello incisioni elaborate (stemmi locali, dediche) e sul quadrante orgogliosamente il nome della città o della fabbrica di origine. Ad esempio, segnatempo con marchi come Shanghai, Beijing, Zhongshan, Hongqi, Sea-Gull o Baozhong proliferarono nei polsi di milioni di cinesi. Il valore simbolico era forte: possedere un orologio made in China era motivo di orgoglio e indice di progresso personale e nazionale. [chinesewatchwiki.net]
Va sottolineato che il Modello Standard divenne anche la base su cui la Cina costruì le sue competenze industriali. La produzione distribuita in tante sedi verticalmente integrate (ogni fabbrica produceva in casa movimenti, quadranti, casse, bilancieri, ecc.) creò un enorme patrimonio di know-how in lavorazioni di precisione. Negli anni successivi, con l’apertura ai mercati esteri, l’industria cinese poté spostarsi verso un modello più orizzontale (specializzandosi in componentistica e movimenti venduti a terzi), ma ciò fu possibile solo grazie alla base di abilità diffuse costruita nell’era del Tongji. [chinesewatchwiki.net]
Dal punto di vista tecnico, il movimento standard cinese si rivelò un progetto azzeccato: semplice ma efficace. Era fortemente ispirato a movimenti svizzeri di metà ’60 (alcuni storici notano somiglianze con l’Enicar cal.1010), ma non era una copia diretta: fu una sintesi originale di soluzioni studiate dal gruppo di progettazione. Il risultato fu un calibro molto durevole (non di rado i Tongji vantano marcia di 50+ ore, superando le specifiche minime) e facilmente riparabile. Col tempo, tuttavia, emersero differenze qualitative fra fabbriche: negli anni ’70 pezzi di Pechino, Shanghai o Shenyang erano finiti e precisi, mentre esemplari di stabilimenti minori risultavano più grezzi. In generale comunque, negli anni d’oro, il Tongji si guadagnò reputazione di meccanismo onesto e resistente. Solo decenni dopo, quando venne relegato alla fascia più bassa, la sua qualità iniziò a calare (specie nelle versioni scheletrate economiche, spesso male assemblate). Ma ancora oggi (2025) questo movimento “Standard” è prodotto – sebbene in volumi ridotti – a testimonianza della sua longevità progettuale. [chinesewatchwiki.net] [sovietaly.it], [chinesewatchwiki.net]
Il ruolo delle fabbriche di confine: Liaoning e la Corea del Nord
Come accennato, la Fabbrica Orologi del Liaoning ebbe una posizione particolare grazie alla contiguità con la Corea del Nord. Già durante gli anni ’60-’70, essa fornì a Pyongyang orologi commemorativi e supporto tecnico, consolidando i rapporti bilaterali. Questa cooperazione assunse forme variegate: dall’invio di lotti speciali di orologi con incisi simboli nordcoreani (da donare a funzionari o come ricompense) fino alla formazione di tecnici. Ad esempio, si racconta che in occasione di anniversari della guerra di Corea o di visite di Kim Il-Sung, furono regalati orologi Hongqi o Liaoning personalizzati per l’evento. [sovietaly.it]
Negli anni ’70 la Corea del Nord provò anche a sviluppare una propria industria orologiera. Nel 1978 fu fondato a Pyongyang lo stabilimento Moranbong, per produrre orologi meccanici domestici. I nordcoreani acquistarono vecchi macchinari dalla Svizzera (calibro Sonceboz ES95) e iniziarono una piccola produzione. Tuttavia, la capacità rimase limitata e per alcuni componenti continuarono ad appoggiarsi sull’estero. Non sorprende che diversi orologi nordcoreani montassero movimenti cinesi: Moranbong, ad esempio, per i modelli commerciali usò spesso economici calibri al quarzo importati dalla Cina negli anni ’90. Sono emersi persino esemplari meccanici Moranbong con dentro un calibro Standard cinese code “ZSH” (prodotto dalla Shanghai Watch Factory). Questo suggerisce che Dandong (Liaoning) poté fornire movimenti o orologi finiti da marchiare Moranbong per la RDPC. Alcune fonti ipotizzano addirittura che i moderni orologi nordcoreani siano fabbricati proprio a Dandong, data la storica competenza orologiera di quella città e la vicinanza geografica (basta attraversare il fiume Yalu per essere in Corea). [watchcrunch.com] [watchcrunch.com], [watchcrunch.com]
In ogni caso, fino al 2010 e oltre, la relazione orologiera sino-nordcoreana è stata di dipendenza: la Corea del Nord non ha mai sviluppato movimenti originali al quarzo e ha dovuto importare tecnologia dalla Cina (e un tempo dall’URSS). Per la fabbrica del Liaoning questo ha significato un mercato aggiuntivo e un ruolo strategico. Ad esempio, negli anni ’80, quando la produzione interna di Hongqi calò, Liaoning convertì parte della capacità verso la nuova linea Peacock mirata sia al mercato cinese riformato che all’export (incluso verso la Corea del Nord). Ancora oggi, nell’ambito di zone economiche speciali al confine, non è infrequente che componenti di orologi vengano scambiati tra i due paesi. In sintesi, le fabbriche cinesi di confine hanno funto da ponte tecnologico per i vicini meno avanzati, e Liaoning in particolare è stata cruciale nel fornire prodotti finiti e know-how orologiero a Pyongyang, rafforzando al contempo la propria importanza industriale.
Crisi e trasformazioni (anni ’80–’90): l’impatto del quarzo e la ristrutturazione
Gli anni ’80 portarono sfide radicali: la diffusione mondiale degli orologi al quarzo mise sotto pressione l’industria meccanica tradizionale. Anche in Cina, a partire dal 1979 con la riforma economica, entrarono sul mercato orologi al quarzo giapponesi e hongkonghesi a prezzi competitivi e precisione imbattibile. Di colpo, i robusti ma basici orologi Tongji apparvero tecnologicamente superati. Inoltre, l’apertura all’import significava che i consumatori cinesi potevano aspirare a orologi esteri (giapponesi digitali Casio, Seiko ecc.), erodendo la quota di mercato domestica dei produttori locali.
Le grandi fabbriche statali reagirono in modo diverso. Alcune cercarono di innovare: la Shanghai Watch Factory, ad esempio, sviluppò già nel 1983 un calibro al quarzo analogico ultrasottile (modello DSE3, spessore 2,5 mm) per affiancare i meccanici. Tuttavia, la struttura statale rigida rendeva difficile competere in flessibilità e costi con i produttori asiatici emergenti. Nel frattempo, la qualità media degli orologi standard cominciò a risentirne: l’urgenza di produrre grandi volumi a basso prezzo portò alcune fabbriche a semplificare eccessivamente i processi, con conseguente calo qualitativo. Un caso eclatante fu la fabbrica del Liaoning: per inseguire l’obiettivo di 1 milione di orologi l’anno, essa ridusse le fasi di assemblaggio da 22 a 9, impiegando anche manodopera non specializzata (studenti in stage, personale logistico) sulla linea. Il risultato fu disastroso: tra il 1975 e il 1977 la qualità degli orologi Hongqi unificati declinò al punto che circa 670.000 pezzi rimasero invenduti nei magazzini (pari all’intera produzione di un anno). Nel 1978 la reputazione di Hongqi era rovinata e il marchio dovette essere dismesso, rimpiazzato da Peacock (Kongque) come nuovo nome commerciale. Questo episodio segnò simbolicamente la fine del periodo d’oro e l’inizio di una crisi di sovrapproduzione e scarsa qualità. [chinesewatchwiki.net] [peacockwatches.com] [peacockwatches.com], [peacockwatches.com]
Con l’ingresso negli anni ’80, la ristrutturazione dell’industria divenne inevitabile. La svolta economica cinese implicava maggiore autonomia gestionale ma anche taglio dei sussidi statali: molte fabbriche di orologi, pensate per un’economia pianificata protetta, si trovarono impreparate alla competizione di mercato. Alcune chiusero: realtà minori in provincie come Hefei, Kunming, Guiyang cessarono l’attività o la convertirono ad altri prodotti entro fine anni ’80. Altre vennero accorpate o privatizzate: ad esempio nel 1987 la fabbrica Hongqi di Xi’an cambiò nome e venne riconvertita (marchio Hudie, Farfalla). [chinesewatchwiki.net]
Sul piano tecnologico, diverse aziende cercarono soluzioni per restare rilevanti. Tianjin fece una scelta drastica: nel 1992 annunciò lo stop a tutti i meccanici per dedicarsi solo ai quarzi, salvo poi tornare sui suoi passi nel 1997 e puntare tutto sui movimenti meccanici (mossa che col senno di poi si rivelò vincente, col marchio Sea-Gull leader mondiale di movimenti meccanici economici negli anni 2000). Shanghai invece dovette fronteggiare il collasso: nel 1990 la produzione cumulativa storica era stata enorme (67 milioni di movimenti standard prodotti fino ad allora), ma l’azienda non era competitiva nel nuovo mercato. Nel 1999 lo Shanghai Watch Industry fu liquidato e la Shanghai Watch Factory rifondata come società pubblica indipendente, mentre le altre fabbriche cittadine vennero fuse in una nuova entità o chiuse. Questa drastica riorganizzazione permise al marchio Shanghai di sopravvivere alleggerito dai debiti, concentrandosi su piccoli numeri e segmenti di nicchia. [chinesewatchwiki.net], [chinesewatchwiki.net] [chinesewatchwiki.net]
Guangzhou (Five Goat) attraversò momenti difficili a causa della vicinanza con Hong Kong: già nei primi ’80 venivano contrabbandati movimenti al quarzo giapponesi a basso costo che rendevano obsoleti i suoi prodotti. La fabbrica cantonese scelse di sfruttare la propria competenza sugli automatici economici: riprogettò il suo vecchio calibro standard per farne versioni automatiche a montaggio semplificato (serie DG-2813 e derivate), vendute a orologiai di Hong Kong e esportate in milioni di unità per orologi economici di tutto il mondo negli anni ’90. Questa nicchia salvò Guangzhou: la fabbrica non divenne famosa al pubblico, ma prosperò come fornitore OEM di movimenti e componenti (ancora nel 2012 il 95% dei suoi ricavi proveniva dalla vendita di movimenti e solo 5% da orologi completi). [chinesewatchwiki.net]
Beijing Watch Factory, essendo più piccola e orientata alla qualità, paradossalmente fu avvantaggiata: negli anni ’90 poté ridurre i volumi e tentare la strada dell’alta orologeria. Già nel 1995 il maestro orologiaio Xu Yaonan iniziò lo sviluppo del primo tourbillon cinese a Pechino. Nel 2004 la BWaF lanciò sul mercato il suo tourbillon TB01, in oro massiccio e tiratura limitata, posizionandosi su segmenti di lusso inediti per la Cina. Pechino scelse dunque di competere non coi quarzi a basso costo ma con gli svizzeri di alta gamma, costruendo complicazioni (tourbillon, ripetizioni minuti, tourbillon doppi e persino un doppio asse nel 2008). Questo l’ha resa la manifattura cinese più prestigiosa, sebbene di nicchia. [chinesewatchwiki.net]
Nel frattempo, sul finire dei ’90, iniziò un fenomeno nuovo: fusioni e acquisizioni da parte di aziende esterne al settore orologiero. Gruppi cinesi diversificati acquistarono brand storici per rilanciarli. Ad esempio, la Shenzhen Haidian Group (proprietaria del marchio Rossini) rilevò Guangzhou Watch Factory nel 2011, investendo in un nuovo parco industriale a Qingdao. La Fiyta (colosso orologiero di Shenzhen) acquisì la Beijing Watch Factory nel 2016 (oltre il nostro limite 2010, ma tendenza già visibile prima). Anche la Liaoning Watch Factory fu salvata da investitori locali (Liaoning Tianci Group, 2008) che costruirono un nuovo stabilimento inaugurato nel 2011 per la linea Peacock. Insomma, alla vigilia del 2010 l’industria orologiera cinese era molto diversa da quella di trent’anni prima: più piccola come volumi, ma più diversificata. Resistettero realtà specializzate in movimenti meccanici da fornire all’estero (Sea-Gull Tianjin, Dixmont Guangzhou, Peacock Dandong), e poche marche “di manifattura” focalizzate sul mercato interno medio-alto (Shanghai, Beijing, ancora Sea-Gull per alcuni segnatempo). Tante fabbriche provinciali più piccole scomparvero o furono convertite ad altra produzione (strumenti, contatori, ecc.), chiudendo un’epoca. [chinesewatchwiki.net] [chinesewatchwiki.net] [peacockwatches.com]
Conclusione: panorama al 2010 e retaggio storico
Entro il 2010 la storia dell’orologeria cinese aveva compiuto un ciclo completo: da aspirante emergente negli anni ’50, a gigante produttivo autarchico negli anni ’70, fino a crisis e rinascite parziali negli anni ’90-2000. Le fabbriche fondate prima del 1960 – Shanghai, Tianjin (Sea-Gull), Beijing, Guangzhou (FiveGoat), Liaoning (Peacock), Nanjing, Qingdao – hanno avuto destini diversi: alcune sono ancora attive (magari con assetti societari nuovi), altre sono scomparse lasciando solo il ricordo dei marchi. Sea-Gull di Tianjin è oggi uno dei maggiori produttori mondiali di movimenti meccanici (nel 2005 realizzava il 25% dei movimenti meccanici globali) e continua a innovare (dai repeater ai tourbillon doppi), pur mantenendo in catalogo il celebre cronografo ST19 e movimenti derivati dallo ST16 per la fascia media. Shanghai Watch esiste come marchio di orologi automatici di qualità medio-buona, dopo essere stata rilanciata pubblicamente (nel 2010 iniziava a riutilizzare lo storico logo anni ’60). Beijing Watch Factory, pur acquisita da investitori, resta un atelier rinomato per tourbillon artigianali e orologi artistici destinati ai collezionisti cinesi facoltosi. Liaoning/Peacock, grazie al nuovo impianto, si è riconvertita soprattutto alla produzione di movimenti “blank” (ebauches) per terzi, spesso imitativi di calibri svizzeri – un ritorno alle origini, se vogliamo, imitare per migliorare. Guangzhou/Dixmont continua a sfornare milioni di movimenti automatici economici (i famosi calibri “Tongji” scheletrati o “DG” usati in molti orologi di moda) e anche complicazioni come tourbillon alla portata di microbrand esteri. Nanjing invece ha cessato la produzione attorno al 2005 dopo aver servito per decenni la domanda rurale domestica e mercati esteri secondari. [chinesewatchwiki.net] [chinesewatchwiki.net] [chinesewatchwiki.net], [chinesewatchwiki.net] [peacockwatches.com] [chinesewatchwiki.net], [chinesewatchwiki.net]
Dal punto di vista storico, l’industria orologiera cinese fino al 2010 ci lascia diversi insegnamenti: la capacità di mobilitare risorse in un’economia pianificata per raggiungere un obiettivo tecnologico (il successo del Tongji negli anni ’70); l’importanza delle collaborazioni internazionali nel colmare gap tecnici (i sovietici negli anni ’60, lo sfruttamento di tecnologie svizzere come il Venus 175); e infine la resilienza nel reinventarsi di fronte a crisi epocali (il quarzo) attraverso specializzazione e miglioramento qualitativo. Se nei primi anni ’80 la scritta “Made in China” su un orologio evocava produzioni di massa economiche, nel 2010 convivevano molte “Cine” orologiere: dai segnatempo tourbillon di Beijing capaci di concorrere ai Grand Prix internazionali, ai movimenti standard venduti in buste di cellophane a peso nelle fiere di Canton. [sovietaly.it] [peacockwatches.com] [chinesewatchwiki.net]
In conclusione, la storia dell’orologeria cinese 1950-2010 è un affascinante intreccio di ambizione industriale, evoluzione tecnica e vicende politiche. In pochi decenni, la Cina è passata da zero a milioni di pezzi l’anno, ha creato uno standard meccanico tuttora iconico (Tongji), ha attraversato un declino e ha gettato le basi per la rinascita attuale dell’orologeria asiatica. Oggi i marchi cinesi riconosciuti internazionalmente (Sea-Gull, Beijing, Shanghai) e la miriade di microbrand che utilizzano calibri cinesi devono molto all’epoca trattata in questa ricerca. Il retaggio è vivo: che sia un vecchio Shanghai anni ’60, un Dongfeng ST5 custodito da un nonno, o un semplice orologio da polso con movimento standard, ciascuno di questi oggetti racconta la storia di un’idea – quella di diffondere l’orologio come simbolo del progresso nazionale – divenuta realtà. [sovietaly.it], [sovietaly.it]
Fonti: La ricostruzione è basata su documenti storici e risorse specialistiche, tra cui archivi di settore cinesi e internazionali. Le informazioni chiave sulle fabbriche (fondazione, modelli, esiti) sono state verificate tramite il Chinese Watch Wiki e articoli del sito Sovietaly, dedicato agli orologi vintage cinesi. Dati tecnici e aneddoti provengono da testimonianze raccolte e dalla letteratura orologiera (si veda ad es. Brad Green, Horological History: Summary of Watchmaking in China). Le citazioni inserite fanno riferimento puntuale alle fonti consultate nelle note.
Contents
- 1 Storia dell’Orologeria Cinese (origini – 2010)
- 1.1 Origini (anni ’50): Le prime fabbriche di orologi in Cina
- 1.2 Espansione negli anni ’60: crescita e specializzazioni
- 1.3 Il calibro unificato “Tongji” (anni ’70): standardizzazione e diffusione di massa
- 1.4 Il ruolo delle fabbriche di confine: Liaoning e la Corea del Nord
- 1.5 Crisi e trasformazioni (anni ’80–’90): l’impatto del quarzo e la ristrutturazione
- 1.6 Conclusione: panorama al 2010 e retaggio storico
